E con una vertigine di simboli, finisce il Purgatorio
Illustrare la processione mistica descritta da Dante alla fine del Purgatorio non era facile: ma il miniatore del Purgatorio - che con questa scena conclude la seconda cantica del poema - è riuscito a stupirci.
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Preannunciata da una dolce melodia e da un fulgore intenso e insostenibile, appare nel Paradiso terrestre una processione mistica dal profondo valore simbolico. L’eccezionalità dell’evento fa sì, caso unico tra le miniature del Purgatorio, che non solo Stazio e Matelda, ma anche Dante e Virgilio siano qui assenti.
Già i soli segni che anticipano la processione inducono il poeta a non trattenere un sentimento di biasimo verso Eva, il cui peccato alienò all’umanità il godimento di simili letizie; a raffigurare la sua prima colpa, il miniatore pone simbolicamente nel margine sinistro dell’immagine l’albero della conoscenza del bene e del male, su cui è arrotolato il diavolo tentatore in forma di serpente.
In una processione che ha il fulcro ideologico nel carro tirato dal grifone, posto dal miniatore al centro della scena, appaiono innanzitutto sette candelabri d’oro accesi, disposti nel margine inferiore dell’immagine, benché manchino le scie luminose di colori diversi che essi lasciano nel cielo, paragonate da Dante all’arcobaleno. Nel margine superiore della raffigurazione compaiono invece la luna e il sole: due elementi astrali nominati dal poeta all’interno di due similitudini, ma che non fanno propriamente parte della processione.
Avanzano quindi “genti […] vestite di bianco”: “ventiquattro seniori” che procedono a due a due, coronati di fiordalisi. Simbolo dei ventiquattro libri dell’Antico Testamento, per poter essere tutti compresi nell’immagine essi sono raccolti in file più fitte di quelle indicate dal poema, mentre l’elemento floreale che li distingue è mutato in un’aurea corona.
Quando alle loro spalle il poeta può scorgere nuovamente l’erba, segno che la processione è avanzata, ecco comparire “quattro animali / coronati ciascun di verde fronda” (92-93). Sono i simboli dei quattro Evangelisti, che il miniatore raffigura al centro dell’immagine: il bue (Luca), il leone (Marco), l’aquila (Giovanni), l’angelo (Matteo), attribuendo a ciascuno di essi tre paia d’ali verdi, simbolo della speranza.
Tra i quattro animali procede un carro trionfale su due ruote, simbolo della Chiesa, tirato da un grifone. Questo animale fantastico dal corpo di leone con la testa e le ali d’aquila, simbolo di Cristo e della sua doppia natura umana e divina, “le membra d’oro avea, quant’era uccello, / e bianche l’altre, di vermiglio miste”; una aggiunta del miniatore è l’aureola d’oro toccata di rosso.
Se nel poema intorno al carro danzano sette donne ripartite in due gruppi, qui esse accompagnano la processione in posizione statica. Al poeta le prime tre donne, simbolo delle Virtù teologali, appaiono con “le carni e l’ossa” dei colori distintivi della loro virtù: rossa la carità, verde la speranza, bianca la fede; il monstrum che ne deriva è ricondotto dal miniatore a una più normale visualizzazione: sono infatti le vesti, non le persone, ad assumere il colore specifico di ciascuna.
La quattro donne, d’altro canto, simbolo delle Virtù cardinali, compaiono correttamente “in porpore vestite”, ma l’elemento abnorme di una di loro, la Prudenza dotata di “tre occhi in testa”, è omesso; è invece raffigurata sul loro capo una ghirlanda floreale simile a quella che orna Matelda, indice anch’essa di come il miniatore tenda a ridurre l’elemento mistico e inusitato della processione a una visualizzazione più idillica e meno traumatica.
Alle spalle di tutto il gruppo sono raffigurati quattro anziani di umile aspetto e, dietro loro, “un vecchio solo” che viene “dormendo con la faccia arguta”, rispettive personificazioni delle Epistole di Pietro, Giovanni, Giacomo, Giuda, e dell’Apocalisse di san Giovanni. Introducendo una variatio per queste figure, che il poeta descrive in abito bianco come i ventiquattro seniori, il miniatore scelse vesti dai colori diversi; mentre in luogo delle corone floreali di “rose e d’altri fior vermigli”, miniò aureole dorate, avvertite più appropriate alla grave dignità degli anziani che infatti, anche nella rappresentazione della prima schiera, avevano visto mutare le corone di gigli in corone auree.
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Il testo è tratto da Milvia Bollati (a cura di), La Divina Commedia di Alfonso d’Aragona, Franco Cosimo Panini Editore.
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