Il Messale della Cappella Sistina
Per oltre due secoli nella Cappella Sistina in Vaticano fu custodito un libro così prezioso da rivaleggiare, a detta dei contemporanei, con i superbi affreschi delle pareti. Un libro così straordinario da far esclamare a Giorgio Vasari le seguenti parole: un codice “tanto bello, anzi ammirabile e stupendo, che io mi confondo a pensarlo”. Quel capolavoro, utilizzato dai Cardinali per le celebrazioni liturgiche più solenni in Cappella Sistina fino alla fine del Settecento, è il Lezionario Farnese.
A commissionare il manoscritto fu, a metà del Cinquecento, il munifico Alessandro Farnese. Considerato dagli storici il più grande mecenate della Roma cinquecentesca, Alessandro Farnese (1520-1589) fu nominato cardinale all’età di quattordici anni dal nonno Paolo III. Fin da giovanissimo mostrò grande abilità nel seguire i progetti artistici promossi e finanziati dal Papa, affinando quel gusto per il bello che avrebbe poi alimentato le sue committenze. Anche negli affari politici dimostrò ben presto astuzia e carattere, virtù che gli consentirono di conservare il prestigio – e le immense ricchezze – anche dopo la morte del nonno. Dopo una breve permanenza in Francia, nel 1554 fece ritorno a Roma: iniziò la stagione di imprese artistiche straordinarie, che gli valsero l’appellativo di “Gran Cardinale”.
Con ogni probabilità fin dall’inizio il cardinale Farnese intendeva donare il Lezionario alla Cappella Sistina: l’opera doveva dunque essere degna di quel Giudizio Universale appena terminato da Michelangelo e già ammiratissimo. Per questo la realizzazione dell’opera fu affidata al più grande e celebrato miniatore del XVI secolo: il pittore Giulio Clovio. Nato intorno al 1498 nell’attuale Croazia e al servizio del cardinale Farnese a partire dal 1540, Giulio Clovio era definito dai suoi contemporanei come "il Michelangelo della miniatura" e come "pictor nulli secundus". Giorgio Vasari nelle Vite descrisse Clovio con queste parole:
Non è mai stato, né sarà per aventura in molti secoli, né il più raro né il più eccellente miniatore, o vogliamo dire dipintore di cose piccole, di don Giulio Clovio, poiché ha di gran lunga superato quanti altri mai si sono in questa maniera di pitture esercitati.
Giulio Clovio lavorò per nove anni sul codice e realizzò una magistrale serie di scene a tutta pagina di grandi dimensioni. Ispirandosi a Michelangelo e a Raffaello, infuse alle scene una monumentalità trionfante, addolcita dalle cromie ora delicate ora cangianti che gli erano proprie. Anche grazie alle sfogloranti cornici dorate che racchiudono ogni scena – popolate di putti, mascheri e fiori – riuscì a fare del Lezionario una vera e propria galleria di dipinti su pergamena. Caratteristiche che fecero scrivere al Vasari il celebre commento:
Tanto bello, anzi ammirabile e stupendo, che io mi confondo a pensarlo, e tengo per fermo che non si possa, non dico fare, ma vedere, né imaginarsi, per minio, cosa più bella.
Tra le miniature del Lezionario più celebrate dai contemporanei, spicca quella raffigurante il Giudizio Universale. Clovio non poteva prescindere dall’affresco di Michelangelo, da cui discendono le pose di certe figure, la nudità dei corpi e la composizione vorticosa dell’insieme. Nella miniatura però volle mitigare la “terribilità” della scena (si notino gli angioletti danzanti e le vesti multicolore), ritraendo i dannati con accenti più pietosi rispetto al modello michelangiolesco.
La monumentale scrittura del codice, nota nei manuali di calligrafia dell’epoca come littera antiqua tonda, è una variante della minuscola umanistica, elaborata all’inizio del XV secolo dagli studiosi fiorentini che si rifacevano alle ricerche di Poggio Bracciolini. Le lettere, tracciate con grande eleganza e un tratto insieme forte e flessibile, si devono a sei diversi calligrafi, due dei quali si possono identificare in Giovan Francesco Cresci, autore de Il Perfetto Scrittore, e Marc’Antonio Rossi, cui si deve Il Giardino de Scrittori.
Dopo la morte di Alessandro Farnese, il Lezionario rimase nella Cappella Sistina fino al 1798, quando, nei tumultuosi giorni dell’occupazione napoleonica, venne trafugato. Dopo vari passaggi di proprietà – a causa dei quali durante perse la preziosa legatura originaria – il codice fu acquistato dal collezionista sir John Towneley. Fu lui a commissionare una splendida nuova legatura in velluto rosso con fibbie e cantonali dorati, e impreziosita dallo stemma gli stemmi della famiglia Towneley in porcellana policroma. Dopo la realizzazione della nuova legatura in stile neogotico, il manoscritto rimase a lungo a Londra, nella ricca biblioteca che sir John aveva raccolto. Nel 1883 iniziò una nuova fase di passaggi di proprietà, e il codice confluì infine nel patrimonio della New York Public Library, dove è conservato ancora oggi.
Franco Cosimo Panini Editore ha recentemente pubblicato l'edizione in facsimile del Lezionario Farnese: l'opera, identica in tutto all’originale, riproduce per la prima volta e con la massima fedeltà il raffinato codice. L'edizione, realizzata a tiratura limitata unica e irripetibile di 550 esemplari, è accompagnata da un volume di saggi a cura del grande studioso Jonathan J. G. Alexander. Il facsimile del Lezionario Farnese fa parte della collana La Biblioteca Impossibile, che riunisce i capolavori della miniatura del Rinascimento italiano.
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