Giunone e il pavone
Il pavone andò da Giunone, mal sopportando che non gli avesse attribuito il canto dell'usignolo; questo sì che suscitava l'ammirazione di tutti gli uccelli, mentre lui era deriso non appena emetteva la sua voce. Allora la dea, per consolarlo, disse: «Ma in bellezza lo vinci, lo vinci in grandezza; lo splendore dello smeraldo rifulge sul tuo collo, e dispieghi con le tue piume una coda tempestata di gemme». «A che mi serve», disse il pavone, «una bellezza muta, se sono vinto nel canto?» «Il fato, a suo arbitrio, vi ha assegnato le parti: a te la bellezza, la forza all'aquila, all'usignolo la dolcezza canora, la profezia al corvo, i presagi favorevoli alla cornacchia, se da sinistra, e tutti sono contenti delle proprie doti. Non pretendere quello che non ti è stato dato, perché la speranza delusa non si trasformi in lamentela».
(Fedro, Fabulae, Libro III, 18.
A cura di Silvia Masaracchio)
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